venerdì 24 ottobre 2014

"La finestra sull'autunno": quando ogni foglia è un fiore

"L'autunno è una seconda primavera, quando ogni foglia è un fiore." Albert Camus

Sciarpa ArJanas tessuta a mano al telaio in lana e alpacaCon queste bellissime parole ti presento "Ghianda", la prima delle sciarpe tessute insieme al racconto "La finestra sull'autunno"! Ho deciso di abbinare questo racconto alle creazioni che realizzerò durante questa stagione. I colori e gli elementi dell'autunno si fondono in una sciarpa calda calda, ispirata al romantico tempo delle foglie dai mille colori. Il bottone fatto a mano in legno di limone, la ghianda realizzata all'uncinetto e a maglia, sono i dettagli che la rendono unica nel suo genere, insieme alla piccola Jana annodata sul cordino di lana: la "firma" che contraddistingue le creazioni ArJànas.
L'ordito in mohair e la particolare lavorazione della trama in lana merinos le conferiscono morbidezza e volume. È un abbraccio color senape!
Per informazioni e per acquistare la sciarpa insieme al racconto rilegato a mano, contattami!
E ora... non ti resta che leggere la storia! :)


- La finestra sull'autunno -

"Era una tranquilla mattina di fine ottobre e Sofia si soffermò davanti alla finestra del soggiorno ancora qualche istante, prima di uscire per andare a lavorare. Di tanto in tanto le capitava di indugiare sul mondo che si estendeva oltre quel vetro, quasi volesse constatare se potesse rivelarle dei dettagli invisibili agli occhi. Particolari che possono essere scorti solo osservando attraverso il vetro di una finestra, e non si dissolvono varcando la soglia di casa: proprio allora divengono concreti quanto il vetro stesso.

La prima volta che visse questa esperienza aveva nove anni. Quella domenica Sofia era impaziente e felice, grazie all’aria frizzante e al pensiero dei due giorni di vacanza che avrebbe vissuto di lì a poco. Mentre giocava insieme alla cugina presero a battibeccare, come al solito; detestava il modo in cui questa la fissava con insistenza, gli occhi a pochi centimetri dai suoi. Di punto in bianco le venne l’idea che avvicinandosi così tanto, sua cugina potesse vedere qualcosa di strano che stava acquattato dentro di lei, pronto a balzare fuori. Era solo un’impressione, ma venire fissata in quel modo la metteva ugualmente in stato di agitazione.
– Vuoi smetterla? – sbottò Sofia, dopo aver finto indifferenza per un tempo che le parve interminabile. Una paura irrazionale le cresceva nel petto, si allargava e raggiungeva la sua pancia, pesante quanto un macigno. Cercava di resistere per dimostrare che non sarebbe stata al gioco, ma per sua cugina il vero gioco era proprio quello. Non tanto il momento in cui sarebbe esplosa dopo essersi trattenuta, bensì osservare il tragitto della fiamma da lei accesa che, secondo i propri tempi, percorreva senza fretta la miccia che la collegava all’ordigno nascosto dentro Sofia.
– Non ti sto toccando! Sto solo guardando cos’hai dentro gli occhi! – ridacchiò sua cugina, e l’ordigno che aveva innescato le esplose in faccia: Sofia le assestò uno schiaffo, poi un altro e un altro ancora. Ne sarebbero arrivati altri se non fosse stato per sua madre, che la afferrò per le braccia, sollevandola, e la portò a casa senza dire una parola.

Per aver reagito in quel modo venne punita e non poté uscire di casa per tre giorni. In quei tanto attesi giorni di vacanza rimase seduta su una sedia posizionata di fronte alla finestra della sua camera, a guardare gli altri bambini che giocavano nella via. Certo, avrebbe potuto osservare anche tutto il resto, ma quella fu l’unica scena che catturò la sua attenzione in modo inaspettato. Aveva il permesso di alzarsi solo per mangiare, andare al bagno e dormire. Poi doveva tornare al suo compito, fare la vedetta davanti alla finestra.
 
Al secondo giorno ebbe l’impressione che la notizia della sua punizione si fosse sparsa oltre confini a lei sconosciuti, dove i suoi occhi non erano mai arrivati. Vedeva, tra i tanti volti dei bimbi che abitavano vicino casa sua, alcuni che le erano del tutto estranei. Apparentemente la scena sembrava quella di sempre, ma osservando bene Sofia non poteva fare a meno di notare in essa qualcosa di incongruo. C’erano degli elementi fuori posto, come se certi bambini non appartenessero a quello scenario e avessero cercato di infilarsi in esso forzatamente. “O forse ad essere fuori posto sono proprio io”, pensò, trovandosi prigioniera al di là di una finestra a osservare un paesaggio di cui solitamente si sentiva parte integrante. Aveva giocato tante volte insieme a quei bambini, e nonostante questo nessuno pareva accorgersi della sua assenza. Continuavano a giocare e a vivere la loro vita come se niente fosse, come se in realtà Sofia non fosse mai esistita. Stare dietro la finestra rendeva tutto diverso.

A dir la verità, in diverse occasioni i bambini si accorsero di lei. Infatti, come se un regista nascosto chissà dove avesse fatto loro un cenno, questi parevano recitare ciascuno la propria parte per dar luogo a una triste messinscena. Improvvisamente si divertivano ancora di più, ridevano con maggiore foga e si incitavano a vicenda. Poi dopo poco tempo, come se le loro batterie avessero consumato la carica, perdevano gradualmente velocità, conferendo alle loro azioni un ritmo più naturale e spontaneo. Sofia si sentiva come uno degli spiriti delle leggende, che appaiono e scompaiono quando il velo tra i mondi si assottiglia. Solo che non incuteva terrore a nessuno, era lei ad avere paura.
Oltretutto si sentiva avvilita, più che dalla punizione in sé, dalla crudeltà che questa aveva risvegliato nell’animo dei bambini che fino a poco tempo prima erano stati suoi compagni di giochi. “Non mi ero mai accorta che fossero così”, pensò. “Forse quando giochiamo insieme mi comporto anch’io in quel modo, senza rendermene conto”. A quel pensiero Sofia impallidì. Fu come scoprire di avere una gemella cattiva che prendeva il suo posto per svolgere le azioni più spiacevoli e insensate, in modo tale che lei non le ricordasse e non si ponesse dei dubbi a riguardo.

Al terzo e ultimo giorno si verificò un episodio che alleviò la sofferenza di Sofia, ma al contempo le diede la certezza che la notizia del suo stato di prigionia era giunta fino a orecchie estranee al suo piccolo mondo.

In un momento imprecisato del pomeriggio, vide in lontananza un bambino che passeggiava in compagnia di una donna e, tenendole la mano, si dirigeva verso Sofia. La donna sorreggeva quella minuscola mano come se stesse dando riposo dal volo a una rara farfalla o a un uccellino, attenta a non stringere troppo la presa per non danneggiare la delicata struttura delle ali. Era una presa molto diversa da quella a cui Sofia era abituata. A volte le sembrava che la sua mano potesse fuggire via chissà dove, lasciandola monca. “È così preziosa che la mia mamma ha paura di perderla”, ripeteva tra sé, per trovare un senso a quella forte morsa che spesso la opprimeva.

Improvvisamente, la mano del bimbo spiccò il volo e si librò nell’aria per un po’, assaporando la libertà che si insinuava tra le dita. Sua madre rimase in disparte e lo osservò unirsi agli altri bambini, per giocare insieme a loro. Guardò la mano che poco prima aveva sfiorato quella del figlio, e sorrise, ripensando alla sensazione che aveva provato nel tenere tra le cinque dita una vita che non le apparteneva, ma della quale era partecipe.

Dopo aver giocato per qualche tempo, il bambino si staccò dal gruppo per raggiungere nuovamente la madre, che ora chiacchierava con una vicina di casa di Sofia. Cercava di dirle qualcosa di importante, così attirò la sua attenzione aggrappandosi al suo braccio, che venne giù come il cordone collegato al campanello di un’antica dimora. Lei si chinò, e il bambino le riferì qualcosa all’orecchio, un segreto da non condividere con altri. La giovane mamma fece un cenno di assenso con la testa, al che il bambino corse in direzione dell’altissimo pino che allora si trovava in un’aiuola situata poco distante. Qui, dopo aver esaminato attentamente il terreno, raccolse una grossa pigna.

Sofia lo vide correre verso la sua finestra. In pochi istanti il bambino fu proprio di fronte a lei e le chiese di aprire, battendo lievemente sul vetro con la pigna. Sofia ci pensò un attimo su. Non voleva che i suoi genitori inasprissero la punizione venendolo a sapere, ma la voglia di parlare con qualcuno era tanta, così la aprì. Il bambino giocherellava con la pigna, indeciso su cosa dirle. Dopo qualche minuto, alzò di scatto gli occhi davanti a sé.

– Ti piacciono i pinoli? – chiese, con l’espressione di chi ha trovato la soluzione di un enigma.

– Moltissimo! – rispose Sofia. Sentire la sua bocca riprendere vita dopo tre giorni di silenzio le provocò disagio. Le sembrava che la lingua avesse messo radici nel palato e lei dovesse sradicarla come un’erbaccia, per piantare al suo posto una pianta che desse maggior frutto.

– Ne sbuccio qualcuno e li mangiamo insieme, – disse il bambino, sollevando la pigna sulla sua testa con entrambe le mani, come se si trattasse di una coppa appena conquistata.

A Sofia quella scena sembrava del tutto irreale. Annuì silenziosamente.

– Sta’ attento a non fare troppo rumore, – disse, mentre il bimbo cercava un sasso per spaccare la buccia dei pinoli.

Il bimbo la guardò. La raccomandazione di Sofia doveva essere di vitale importanza. Annuì brevemente.
– Tranquilla, non posso farne più di tanto. – Ci pensò su e continuò, – ma non posso romperli con il pensiero.

A quelle parole, chissà perché, Sofia si tranquillizzò e aspettò la sua parte di pinoli, in silenzio.
 I due bambini li mangiarono senza parlare. Di tanto in tanto l’uno guardava l’altro, come per controllare che fosse ancora dove l’aveva lasciato. Dopo mezz’ora al massimo, la mamma del bambino lo richiamò a sé.

– Francesco, dobbiamo andare. Saluta la tua amica!

Francesco, che nell’udire la voce di sua madre si era voltato, tornò a guardare Sofia.

– Ora devo andare, – disse, posando la pigna sul davanzale, – questo è un regalo per te. Se trovi un pinolo a forma di mano puoi esprimere un desiderio!

– Grazie! – sussurrò Sofia, – ciao, Francesco!

– Ciao! – trillò Francesco, e si allontanò per andare a posarsi nuovamente sul quel ramo che era la mano di sua madre.

Guardando il suo dono la bambina provò un senso di pace. Quella mezz’ora aveva dato senso ai tre giorni di solitudine e prigionia che aveva vissuto. Più tardi, ripensando alle parole di Francesco, le venne voglia di trovare il pinolo a forma di mano. “Però non posso fare rumore”, pensò, in un misto di delusione e impazienza. Poi dal nulla sentì crescere dentro il cuore un’emozione mai provata che cancellò ogni incertezza dalla sua mente. Si fece coraggio e afferrò uno degli zoccoli di legno che portava ai piedi. Estrasse dalla pigna tutti i pinoli rimasti e li aprì uno dopo l’altro, alla ricerca del pinolo a forma di mano. Non lo trovò. Ne fu un po’ delusa, ma ripensando a ciò che poco prima le aveva offerto Francesco si rasserenò. Quella del bambino era una semplice mano, come ne esistono tante, eppure aveva conosciuto la libertà. Questa vi si era impressa, e lui gliel’aveva mostrata inconsapevolmente.
Sofia sgranocchiò gli ultimi pinoli lentamente, per dare ancora un po’ di respiro alle emozioni che provava in quei momenti. Guardò oltre la finestra. Il paesaggio deserto si impregnava delle tinte dorate e carezzevoli di un tramonto d’autunno. Solo il vecchio pino rimaneva al solito posto, altissimo e rassicurante, con le sue pigne ricolme di desideri da esprimere. Ormai tutti i bambini avevano rincasato, la sua punizione era finita e il giorno seguente avrebbe riguadagnato il suo posto nel gruppo, ma per certi versi Sofia non si sentiva più come i suoi compagni di giochi. Attraverso la finestra aveva visto qualcosa di inspiegabile che le dava questa certezza. Eppure non si sentiva triste o sola, né aveva paura.

Solo molti anni dopo, Sofia comprese il reale valore del dono di Francesco. Ripensò tante volte a lui e alla sua mano, che ora volava chissà dove.
 Una mano che non avrebbe rivisto mai più."


Sciarpa ArJanas tessuta a mano al telaio in lana e alpaca

Sciarpa ArJanas tessuta a mano al telaio in lana e alpaca

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