giovedì 30 ottobre 2014

"Cadon le foglie": giochi di trame d'autunno

Sciarpa ArJanas tessuta a mano al telaio in lana e alpacaEcco un'altra sciarpa che ho tessuto scegliendo alcuni tra i colori autunnali per eccellenza. È autunno, "Cadon le foglie"... e così, volteggiando, una di loro è andata a posarsi sulle trame arancio zucca. L'ho ricamata tra i verdi giochi di trama, perché potesse adagiarsi sul tuo cuore. Riesci a sentirne il fruscio? Un'altra foglia, portata dal vento, ha incontrato una piccola Jana e ha preso a danzare insieme a lei, rimanendo sospesa nell'aria per l'eternità, come in un incantesimo.
La sciarpa è stata tessuta unendo un filato caldo e spesso (un mix di alpaca e lana vergine) per la trama color arancio, e del mohair morbidissimo per l'ordito marrone. Ho inserito alcune trame di lana verde per divertirmi a giocare con i colori... :)
Il bel bottone fatto a mano è stato creato utilizzando un pezzetto del ramo dell'albero di limone che vive in giardino. Mi piace pensare che i suoi rami, dopo la potatura, possano trasformarsi in qualcosa destinato a durare a lungo... 
Ed è così che è nata "Cadon le foglie", una delle creazioni ArJànas tessute a mano insieme al racconto "La finestra sull'autunno", che puoi leggere QUI.

Sciarpa ArJanas tessuta a mano al telaio in lana e alpaca

Sciarpa ArJanas tessuta a mano al telaio in lana e alpaca

Sciarpa ArJanas tessuta a mano al telaio in lana e alpaca
 
Sciarpa ArJanas tessuta a mano al telaio in lana e alpaca

Sciarpa ArJanas tessuta a mano al telaio in lana e alpaca



venerdì 24 ottobre 2014

"La finestra sull'autunno": quando ogni foglia è un fiore

"L'autunno è una seconda primavera, quando ogni foglia è un fiore." Albert Camus

Sciarpa ArJanas tessuta a mano al telaio in lana e alpacaCon queste bellissime parole ti presento "Ghianda", la prima delle sciarpe tessute insieme al racconto "La finestra sull'autunno"! Ho deciso di abbinare questo racconto alle creazioni che realizzerò durante questa stagione. I colori e gli elementi dell'autunno si fondono in una sciarpa calda calda, ispirata al romantico tempo delle foglie dai mille colori. Il bottone fatto a mano in legno di limone, la ghianda realizzata all'uncinetto e a maglia, sono i dettagli che la rendono unica nel suo genere, insieme alla piccola Jana annodata sul cordino di lana: la "firma" che contraddistingue le creazioni ArJànas.
L'ordito in mohair e la particolare lavorazione della trama in lana merinos le conferiscono morbidezza e volume. È un abbraccio color senape!
Per informazioni e per acquistare la sciarpa insieme al racconto rilegato a mano, contattami!
E ora... non ti resta che leggere la storia! :)


- La finestra sull'autunno -

"Era una tranquilla mattina di fine ottobre e Sofia si soffermò davanti alla finestra del soggiorno ancora qualche istante, prima di uscire per andare a lavorare. Di tanto in tanto le capitava di indugiare sul mondo che si estendeva oltre quel vetro, quasi volesse constatare se potesse rivelarle dei dettagli invisibili agli occhi. Particolari che possono essere scorti solo osservando attraverso il vetro di una finestra, e non si dissolvono varcando la soglia di casa: proprio allora divengono concreti quanto il vetro stesso.

La prima volta che visse questa esperienza aveva nove anni. Quella domenica Sofia era impaziente e felice, grazie all’aria frizzante e al pensiero dei due giorni di vacanza che avrebbe vissuto di lì a poco. Mentre giocava insieme alla cugina presero a battibeccare, come al solito; detestava il modo in cui questa la fissava con insistenza, gli occhi a pochi centimetri dai suoi. Di punto in bianco le venne l’idea che avvicinandosi così tanto, sua cugina potesse vedere qualcosa di strano che stava acquattato dentro di lei, pronto a balzare fuori. Era solo un’impressione, ma venire fissata in quel modo la metteva ugualmente in stato di agitazione.
– Vuoi smetterla? – sbottò Sofia, dopo aver finto indifferenza per un tempo che le parve interminabile. Una paura irrazionale le cresceva nel petto, si allargava e raggiungeva la sua pancia, pesante quanto un macigno. Cercava di resistere per dimostrare che non sarebbe stata al gioco, ma per sua cugina il vero gioco era proprio quello. Non tanto il momento in cui sarebbe esplosa dopo essersi trattenuta, bensì osservare il tragitto della fiamma da lei accesa che, secondo i propri tempi, percorreva senza fretta la miccia che la collegava all’ordigno nascosto dentro Sofia.
– Non ti sto toccando! Sto solo guardando cos’hai dentro gli occhi! – ridacchiò sua cugina, e l’ordigno che aveva innescato le esplose in faccia: Sofia le assestò uno schiaffo, poi un altro e un altro ancora. Ne sarebbero arrivati altri se non fosse stato per sua madre, che la afferrò per le braccia, sollevandola, e la portò a casa senza dire una parola.

Per aver reagito in quel modo venne punita e non poté uscire di casa per tre giorni. In quei tanto attesi giorni di vacanza rimase seduta su una sedia posizionata di fronte alla finestra della sua camera, a guardare gli altri bambini che giocavano nella via. Certo, avrebbe potuto osservare anche tutto il resto, ma quella fu l’unica scena che catturò la sua attenzione in modo inaspettato. Aveva il permesso di alzarsi solo per mangiare, andare al bagno e dormire. Poi doveva tornare al suo compito, fare la vedetta davanti alla finestra.
 
Al secondo giorno ebbe l’impressione che la notizia della sua punizione si fosse sparsa oltre confini a lei sconosciuti, dove i suoi occhi non erano mai arrivati. Vedeva, tra i tanti volti dei bimbi che abitavano vicino casa sua, alcuni che le erano del tutto estranei. Apparentemente la scena sembrava quella di sempre, ma osservando bene Sofia non poteva fare a meno di notare in essa qualcosa di incongruo. C’erano degli elementi fuori posto, come se certi bambini non appartenessero a quello scenario e avessero cercato di infilarsi in esso forzatamente. “O forse ad essere fuori posto sono proprio io”, pensò, trovandosi prigioniera al di là di una finestra a osservare un paesaggio di cui solitamente si sentiva parte integrante. Aveva giocato tante volte insieme a quei bambini, e nonostante questo nessuno pareva accorgersi della sua assenza. Continuavano a giocare e a vivere la loro vita come se niente fosse, come se in realtà Sofia non fosse mai esistita. Stare dietro la finestra rendeva tutto diverso.

A dir la verità, in diverse occasioni i bambini si accorsero di lei. Infatti, come se un regista nascosto chissà dove avesse fatto loro un cenno, questi parevano recitare ciascuno la propria parte per dar luogo a una triste messinscena. Improvvisamente si divertivano ancora di più, ridevano con maggiore foga e si incitavano a vicenda. Poi dopo poco tempo, come se le loro batterie avessero consumato la carica, perdevano gradualmente velocità, conferendo alle loro azioni un ritmo più naturale e spontaneo. Sofia si sentiva come uno degli spiriti delle leggende, che appaiono e scompaiono quando il velo tra i mondi si assottiglia. Solo che non incuteva terrore a nessuno, era lei ad avere paura.
Oltretutto si sentiva avvilita, più che dalla punizione in sé, dalla crudeltà che questa aveva risvegliato nell’animo dei bambini che fino a poco tempo prima erano stati suoi compagni di giochi. “Non mi ero mai accorta che fossero così”, pensò. “Forse quando giochiamo insieme mi comporto anch’io in quel modo, senza rendermene conto”. A quel pensiero Sofia impallidì. Fu come scoprire di avere una gemella cattiva che prendeva il suo posto per svolgere le azioni più spiacevoli e insensate, in modo tale che lei non le ricordasse e non si ponesse dei dubbi a riguardo.

Al terzo e ultimo giorno si verificò un episodio che alleviò la sofferenza di Sofia, ma al contempo le diede la certezza che la notizia del suo stato di prigionia era giunta fino a orecchie estranee al suo piccolo mondo.

In un momento imprecisato del pomeriggio, vide in lontananza un bambino che passeggiava in compagnia di una donna e, tenendole la mano, si dirigeva verso Sofia. La donna sorreggeva quella minuscola mano come se stesse dando riposo dal volo a una rara farfalla o a un uccellino, attenta a non stringere troppo la presa per non danneggiare la delicata struttura delle ali. Era una presa molto diversa da quella a cui Sofia era abituata. A volte le sembrava che la sua mano potesse fuggire via chissà dove, lasciandola monca. “È così preziosa che la mia mamma ha paura di perderla”, ripeteva tra sé, per trovare un senso a quella forte morsa che spesso la opprimeva.

Improvvisamente, la mano del bimbo spiccò il volo e si librò nell’aria per un po’, assaporando la libertà che si insinuava tra le dita. Sua madre rimase in disparte e lo osservò unirsi agli altri bambini, per giocare insieme a loro. Guardò la mano che poco prima aveva sfiorato quella del figlio, e sorrise, ripensando alla sensazione che aveva provato nel tenere tra le cinque dita una vita che non le apparteneva, ma della quale era partecipe.

Dopo aver giocato per qualche tempo, il bambino si staccò dal gruppo per raggiungere nuovamente la madre, che ora chiacchierava con una vicina di casa di Sofia. Cercava di dirle qualcosa di importante, così attirò la sua attenzione aggrappandosi al suo braccio, che venne giù come il cordone collegato al campanello di un’antica dimora. Lei si chinò, e il bambino le riferì qualcosa all’orecchio, un segreto da non condividere con altri. La giovane mamma fece un cenno di assenso con la testa, al che il bambino corse in direzione dell’altissimo pino che allora si trovava in un’aiuola situata poco distante. Qui, dopo aver esaminato attentamente il terreno, raccolse una grossa pigna.

Sofia lo vide correre verso la sua finestra. In pochi istanti il bambino fu proprio di fronte a lei e le chiese di aprire, battendo lievemente sul vetro con la pigna. Sofia ci pensò un attimo su. Non voleva che i suoi genitori inasprissero la punizione venendolo a sapere, ma la voglia di parlare con qualcuno era tanta, così la aprì. Il bambino giocherellava con la pigna, indeciso su cosa dirle. Dopo qualche minuto, alzò di scatto gli occhi davanti a sé.

– Ti piacciono i pinoli? – chiese, con l’espressione di chi ha trovato la soluzione di un enigma.

– Moltissimo! – rispose Sofia. Sentire la sua bocca riprendere vita dopo tre giorni di silenzio le provocò disagio. Le sembrava che la lingua avesse messo radici nel palato e lei dovesse sradicarla come un’erbaccia, per piantare al suo posto una pianta che desse maggior frutto.

– Ne sbuccio qualcuno e li mangiamo insieme, – disse il bambino, sollevando la pigna sulla sua testa con entrambe le mani, come se si trattasse di una coppa appena conquistata.

A Sofia quella scena sembrava del tutto irreale. Annuì silenziosamente.

– Sta’ attento a non fare troppo rumore, – disse, mentre il bimbo cercava un sasso per spaccare la buccia dei pinoli.

Il bimbo la guardò. La raccomandazione di Sofia doveva essere di vitale importanza. Annuì brevemente.
– Tranquilla, non posso farne più di tanto. – Ci pensò su e continuò, – ma non posso romperli con il pensiero.

A quelle parole, chissà perché, Sofia si tranquillizzò e aspettò la sua parte di pinoli, in silenzio.
 I due bambini li mangiarono senza parlare. Di tanto in tanto l’uno guardava l’altro, come per controllare che fosse ancora dove l’aveva lasciato. Dopo mezz’ora al massimo, la mamma del bambino lo richiamò a sé.

– Francesco, dobbiamo andare. Saluta la tua amica!

Francesco, che nell’udire la voce di sua madre si era voltato, tornò a guardare Sofia.

– Ora devo andare, – disse, posando la pigna sul davanzale, – questo è un regalo per te. Se trovi un pinolo a forma di mano puoi esprimere un desiderio!

– Grazie! – sussurrò Sofia, – ciao, Francesco!

– Ciao! – trillò Francesco, e si allontanò per andare a posarsi nuovamente sul quel ramo che era la mano di sua madre.

Guardando il suo dono la bambina provò un senso di pace. Quella mezz’ora aveva dato senso ai tre giorni di solitudine e prigionia che aveva vissuto. Più tardi, ripensando alle parole di Francesco, le venne voglia di trovare il pinolo a forma di mano. “Però non posso fare rumore”, pensò, in un misto di delusione e impazienza. Poi dal nulla sentì crescere dentro il cuore un’emozione mai provata che cancellò ogni incertezza dalla sua mente. Si fece coraggio e afferrò uno degli zoccoli di legno che portava ai piedi. Estrasse dalla pigna tutti i pinoli rimasti e li aprì uno dopo l’altro, alla ricerca del pinolo a forma di mano. Non lo trovò. Ne fu un po’ delusa, ma ripensando a ciò che poco prima le aveva offerto Francesco si rasserenò. Quella del bambino era una semplice mano, come ne esistono tante, eppure aveva conosciuto la libertà. Questa vi si era impressa, e lui gliel’aveva mostrata inconsapevolmente.
Sofia sgranocchiò gli ultimi pinoli lentamente, per dare ancora un po’ di respiro alle emozioni che provava in quei momenti. Guardò oltre la finestra. Il paesaggio deserto si impregnava delle tinte dorate e carezzevoli di un tramonto d’autunno. Solo il vecchio pino rimaneva al solito posto, altissimo e rassicurante, con le sue pigne ricolme di desideri da esprimere. Ormai tutti i bambini avevano rincasato, la sua punizione era finita e il giorno seguente avrebbe riguadagnato il suo posto nel gruppo, ma per certi versi Sofia non si sentiva più come i suoi compagni di giochi. Attraverso la finestra aveva visto qualcosa di inspiegabile che le dava questa certezza. Eppure non si sentiva triste o sola, né aveva paura.

Solo molti anni dopo, Sofia comprese il reale valore del dono di Francesco. Ripensò tante volte a lui e alla sua mano, che ora volava chissà dove.
 Una mano che non avrebbe rivisto mai più."


Sciarpa ArJanas tessuta a mano al telaio in lana e alpaca

Sciarpa ArJanas tessuta a mano al telaio in lana e alpaca

martedì 21 ottobre 2014

"Una donna, una nave e il mare": soffici trame d'azzurro tessute

Sciarpa ArJanas tessuta a mano al telaio in lana e alpaca
Il morbidissimo filato in alpaca/lana de "La fattoria del gelso", fa da trama alla nuova sciarpa ArJànas dedicata all'Acqua. L'azzurro tenue del filato, intrecciandosi all'ordito in mohair, crea delle meravigliose sfumature che ricordano l'acqua, la schiuma delle onde, i riflessi di un incontaminato fondale marino che si estende davanti ai tuoi occhi. Il bottone è un pezzetto di legno levigato dal mare, raccolto tanto tempo fa, e chiude la sciarpa grazie ai lacci di lana, sui quali vi sono una piccola Jana e una conchiglia...


Le sciarpe ispirate all'Acqua saranno accompagnate dal racconto "Una donna, una nave e il mare", rilegato a mano in un piccolo libro, utilizzando i fili di lino...

Per ricevere ulteriori informazioni o per acquistare la sciarpa, contattami! :) 



- Una donna, una nave e il mare - 

"Quando giunse al porto insieme a suo figlio e dovettero imbarcarsi, attraversare indenne la passerella metallica della nave fu liberatorio, per Caterina. Temeva che questa potesse ritirarsi all’improvviso per impedirle di andar via.
– Non farmi scherzi, rimani lì dove sei – pensò.
La passerella obbedì docilmente, non potendo fare altrimenti. Rimase ferma, immobile per lasciar passare Caterina e il prezioso carico che si portava dentro. Un misto di delusione, dolore e voglia di rinascere altrove.
– Poco fa pensavo che non saremmo riusciti a imbarcarci – disse a suo figlio dopo qualche tempo. Erano saliti sul ponte e osservavano le manovre della nave che si apprestava a salpare. Da quella prospettiva sembrava che in realtà fosse la terra a muoversi e ruotare lentamente, per prendere il largo e allontanarsi da loro.
– Perché non avremmo dovuto riuscirci? – chiese Riccardo.
– Non so. Forse mi aspettavo di venire punita per via di questa fuga improvvisa.
Caterina strapazzava nervosamente i bottoni della sua camicetta un po’ troppo leggera, seguendo con lo sguardo le automobili che transitavano sulla strada che si allungava di fronte al porto. Chissà quanti, tra conducenti e passeggeri, avrebbero voluto lasciare ogni cosa e partire, come stava facendo lei.
– Perché mai qualcuno dovrebbe punirti? – fece Riccardo, in un misto di incredulità e divertimento – Certo che a volte ti vengono in testa delle idee davvero strane. E poi non stai mica fuggendo. Non per sempre, almeno. Prima o poi dovrai tornare, no?
– No. Non tornerò.
– Non tornerai – ripeté Riccardo. Voleva essere sicuro di aver afferrato il concetto. Anche se, quando si trattava di sua madre, sapeva che il concetto poteva assumere connotati assai incostanti.
– E che ne sarà di ciò che hai lasciato qui? La casa, il lavoro – era seriamente preoccupato.
– Come vivrai? – aggiunse, cercando gli occhi di sua madre .
Caterina continuava a spingersi, con lo sguardo, verso la terraferma. Come per sfidare, beffeggiare, la forza che sentiva volesse trattenerla. La nave aveva cominciato a prendere il largo e lei capì di aver avuto la meglio. È vero, c’era sempre la possibilità che affondasse, ma non le importava.
- Mi sono imbarcata sulla nave e sono partita, questa è la cosa fondamentale. Se dovessi morire annegata non sarebbe una sconfitta, per me. Morire in mare, un territorio neutro dove le regole della terra non contano, è di per sé una vittoria. Per questo devo attraversarlo. Per poter andare avanti, per provare a ricostruire la mia vita. Se fossi rimasta sull’isola, per quanto lontano mi fossi spinta, non avrei avvertito il distacco. Lo strappo dato dal mare è quello che mi serve – annuì tra sé, per incidere ancor più fermamente quel pensiero nella sua volontà.
Caterina sapeva che quella forza sconosciuta sarebbe rimasta sulle sue tracce per chissà quanto tempo. L’avrebbe cercata, senza alcuna fretta, e le avrebbe riconsegnato la sua vecchia vita come si fa con un oggetto smarrito e dimenticato. Magari proprio quando pensava di essere riuscita a seminarla definitivamente, l’avrebbe ritrovata. “Dove credevi di andare?” Le sembrava di sentirne la voce. Partire era l’unico modo per sbarazzarsene. “Che segua pure il ricordo di ciò che di me è rimasto a terra, girando a vuoto per l’eternità come un maledetto segugio”.
– Come vivrò non è un problema che deve riguardarti – disse Caterina dopo parecchi minuti lasciati scorrere in un silenzio saturo di attesa e di salsedine, che aleggiavano ovunque, impregnando ogni cosa.
Qualsiasi discorso tenuto in quel momento sarebbe rimasto intatto, protetto dall’azione del sale. O chissà, forse in questo caso ne sarebbe stato corroso, per via della delicatissima natura. Ogni frase da pronunciare andava valutata attentamente, per non rischiare di distruggerne il vero intento o, al contrario, di fare in modo che si concretizzasse.
Caterina scelse di non dire nulla, per il momento. Avrebbe portato in salvo i suoi piani, lasciando che vedessero la luce per la prima volta solo dopo essere sbarcata in Grecia. Lì avrebbe trovato un luogo sicuro, e aprendo con delicatezza il barattolo che li conteneva, avrebbe regalato loro la libertà.
Riccardo continuava a fissarla, in attesa di una risposta. Dopo parecchio tempo, stanco di quel silenzio ostinato, afferrò la spalla di sua madre, dandole un forte scossone. Voleva richiamare la sua mente alla realtà di cui lui faceva parte.
Caterina, per niente turbata, si voltò lentamente posando lo sguardo dapprima sul suo braccio, che ancora conservava il tremito della scossa ricevuta, poi sul viso di suo figlio. Rimase ancora in silenzio.
– Credi di poter fuggire dalla realtà. Beh, non puoi farlo. Scappare non ti servirà a nulla – affermò Riccardo, in tono secco. Stava per aggiungere qualcos’altro ma, frastornato dall’impulso che pareva essersi impadronito delle sue labbra, si fermò.
– Sono stato davvero io a parlare? – pensò. Si pentì subito di aver usato un tono così crudele nei confronti di sua madre, dopo tutta la sofferenza che aveva dovuto subire e dalla quale stava cercando una via d’uscita.
– Scusami, non volevo, – si affrettò a dire – ma sono preoccupato per te e non vorrei che la situazione andasse peggiorando, invece di migliorare. Mi rimangerei quelle parole, se fosse possibile.
Si curvò su se stesso, reggendo la testa tra le mani. La sentiva incredibilmente inconsistente. Dopo poco tempo, Caterina si accorse che la schiena di suo figlio, incurvata, aveva preso a sobbalzare e vi posò la mano, perché si stabilizzasse.
– Non importa – disse. – Tu non devi preoccuparti, di niente. Qualunque cosa accada.
Riccardo sollevò il viso rigato di lacrime. Cercò qualcosa negli occhi di sua madre, un indizio, un suggerimento che gli permettesse di comprendere appieno il significato delle sue parole e della sua scelta. Ma non riuscì a scorgere nulla. D’un tratto, infatti, gli occhi di Caterina si chiusero in fessure inespugnabili, quasi avessero catturato un elemento che vi si era soffermato per un tempo eccessivamente lungo, e non volessero lasciarlo andare.
– Un giorno capirai, – disse Caterina – ma ora non è il momento giusto.
Riccardo, ancora più confuso, non obiettò. Si limitò ad annuire accettando la volontà superiore celata in quelle parole. Caterina sorrise serafica e dopo qualche istante aggiunse, con calma:
– Senti? – e così dicendo sollevò la mano che poco prima aveva posato sulla schiena del figlio, indicando il cielo. Lo sguardo vagava senza una meta oltre la superficie azzurra del mare.
Si udirono le voci di numerosi gabbiani che arrivavano da lontano, in volo. Molte di esse erano andate disperse nel percorrere le distanze che separavano le terre. Erano cadute improvvisamente, come gocce di pioggia sul mare. Lui le aveva reclamate, chiamate a sé per nutrirsi di loro.
Caterina le udì mentre andavano a fondo e venivano inghiottite in quel tutto: là si fusero in numerosi fili afferrati repentinamente da misteriose mani femminili che, in un sol gesto, ne fecero trama della vita di là da venire. Ma questo Caterina non poteva saperlo, perciò in cuor suo si rivolse alle acque scure del mare aperto.
– Prendi anche le sue parole, ti prego. Tu sei l’unico che può tramutarle in qualcosa di buono. Così come sono non possono esistere. Lo sai, vero?
Si alzò dalla panchina per allontanarsi da suo figlio, che provò a richiamarla a sé ancora una volta.
– Mamma! Stai bene?
Caterina rispose con un sorriso serafico, intonando un motivo allegro improvvisato sul momento, le labbra serrate.
Poi non disse più nulla, o almeno, niente che Riccardo potesse udire.
Per tutta la durata del viaggio, infatti, parlò solo con il mare, che a sua volta non disse niente che Caterina potesse comprendere. Ciononostante lei fece tesoro di ogni frammento del loro incessante dialogo.
– Prima o poi capirò – si disse, e lo disse anche al mare.
La nave procedeva sulla sua rotta, scivolando senza intoppi sulle parole di Caterina e di Riccardo, sui loro pensieri e sui loro intenti. Il mare non si curò di tutto ciò. Li lasciò passare sapendo che, in un modo o nell’altro, li avrebbe incontrati ancora."


Sciarpa ArJanas tessuta a mano al telaio in lana e alpaca

Sciarpa ArJanas tessuta a mano al telaio in lana e alpaca


sabato 18 ottobre 2014

"Jana dell'uva": danzando tra i filari del ricordo

"La fievole luce dell'alba gioca a far capolino tra le nubi screziate di rosso vermiglio, divine ragnatele impadronitesi del cielo. Tesso la mente con profumi lontani, come il vago ricordo di antichi saperi, e di tempo che scorre, scorre via, per non tornare. Tempo in cui io non ero, ma che sento appartenermi.
Terra e sabbia ai miei piedi, come vita potenziale offertami in dono. Tra le mani un grappolo di danze, di feste e di canti, di speranze. Scruto oltre la superficie annebbiata della buccia violacea: un movimento impercettibile attira il mio sguardo, quasi come un ricordo che, senza farsi notare, mi passa accanto. Con un gesto, la nebbia scompare. Il presente mi invita ad assaporare la sua dolce polpa, perché la danza deve continuare."

Ho tessuto la collana "Jana dell'uva" ispirandomi alla Vendemmia, ai ricordi che questo momento evoca nella mente di chi vi ha preso parte. L'occasione è solenne e carica di aspettative: è insieme rito e festa. 
Durante le celebrazioni legate al mondo contadino, che sancivano il ciclico scorrere del tempo, le Janas erano solite unirsi alle danze sacre degli umani; ma questo accadeva tanto tempo fa, quando l'animo umano era semplice e puro, e ancora ascoltava il respiro della Natura.


Le collane "Jana dell'uva" fanno parte delle "Donne danzanti ArJànas": un po' donne, un po' fate. Tessute con fili di lino naturale, utilizzando un'antica tecnica di tessitura ormai quasi dimenticata, tra i fili di lino recano un cristallo di ametista o di granato. 
Ogni Donna danzante ondeggia sul tuo cuore per ricordarti di vivere con gioia. Se il cuore, stanco e confuso, si smarrisce lungo il cammino, la piccola Donna lo aiuta a ritrovare la Via. Danzando, gli indica la strada che conduce a casa.

Come darle "Vita"?

Immergi la donna nell'acqua per qualche istante, posala sul petto, all'altezza del cuore, e poni le mani su di lei. Dovrai darle un nome... sarà lei a rivelartelo. Quando lo sentirai, soffia sulla piccola pietra. Ecco, ora la donna è tua alleata.

Per informazioni e per acquistare la collana, contattami!

martedì 14 ottobre 2014

"Ossidiana": occhi di Janas, scrigni e tesori

Si dice che le Janas avessero occhi neri come ossidiana, o come le notti senza luna. Li rivedo baluginare nell'estasi delle incantate danze notturne, oscure braci capaci di illuminare il ciclo del Tempo, della Natura. Il riflesso di quegli occhi riesco a vederlo ancora, di tanto in tanto, nella fiera profondità dello sguardo di certe donne della mia terra. Magari, come narrano le leggende, nelle loro vene scorre sangue fatato...
Pensando a quegli occhi mi chiedo se qualcuno, in passato, avrà avuto l'ardire di avventurarsi fino alle case di roccia, scavate dalle piccole donne-fate con le loro stesse unghie, e sfidarne il nero di ossidiana, per scoprire come poter ricevere in dono uno dei loro tesori. Esse, depositarie e custodi delle arti e dei saperi legati al mondo antico, ne difendevano l'integrità dalla bramosia e dall'avidità umana.
S'Iscusorgiu, lo scrigno in cui venivano custoditi gli ori splendenti, le stoffe tessute e ricamate con le sete più fini, non è altro che il dono che l'essere umano poteva ricevere nei tempi in cui il suo animo si rivelava affine ai sottili equilibri della Natura. Quando quest'ultimo è mutato, smettendo di riconoscere la sacralità della Terra, profanandone gli elementi, mancando di rispetto alle Janas che ne erano custodi, esse hanno nascosto i loro saperi lontano da occhi indiscreti. Da quel momento non permisero a nessuno di usurpare tale tesoro e, per fare in modo che si mantenesse intatto, posero a guardia dello stesso interi sciami di "Musca maghedda", un letale tipo di mosca che si cibava di carne umana. Se anche nel dormiveglia una Jana avesse sussurrato tre volte il vostro nome, rivelandovi poi la strada da seguire per poterlo trovare, una volta giunti in tale luogo avreste dovuto scegliere se portar via ogni gioia contenuta nello scrigno, oppure godere della sua Luce e tornare indietro più ricchi... nel cuore, grazie a quella vista; poiché nessuno ha il diritto di impadronirsi di un tesoro che appartiene a chi verrà, così come la Terra, la prima scelta si sarebbe rivelata fatale. 
Nell'oscurità dello scrigno immagino risplendere ogni singola gemma, ogni bottone di filigrana, le sottili stoffe ripiegate con cura e morbidamente adagiate che mai verranno indossate, se non nei sogni più belli: simbolo dell'interezza di un luogo incantato la cui soglia non può essere profanata da mani indegne. Ciascun pezzo del glorioso tesoro è un ricordo, un prezioso sapere che le Janas culleranno in grembo per l'Eternità: il grembo, la grotta, lo scrigno e quindi il tesoro, sono parte della Jana stessa.
Il tesoro non deve essere sfidato, ma ascoltato e osservato con rispetto; solo così si potrà coglierne la vera essenza.

Con i fili di lino ho tessuto le piccole Janas dei gioielli "Ossidiana". Esse recano due cristalli di ossidiana nera, proprio come i loro occhi, come la notte che veglia sulle loro danze, come l'oscurità che regna nei loro scrigni. Oscurità che non è assenza di Luce, ma ciò che la richiama e la invita a splendere più luminosa che mai. 

Il primo cristallo del gioiello è piccolo, e risiede sul grembo della Jana; il secondo è più grande e sta sopra di lei, all'altezza del tuo cuore.

Per qualsiasi informazione e per acquistare una delle mie creazioni, contattami!
Particolare del gioiello: il cristallo di ossidiana nera
In questo caso ho tessuto l'ossidiana nel gioiello
"Ossidiana"

mercoledì 8 ottobre 2014

"La Luce al di là del Bosco" - una luminosa voce chiama il tuo nome...

Ecco una nuova sciarpa tessuta a mano! La trama è in lana merino marrone scuro effetto tweed, l'ordito in mohair senape e ruggine. Morbida e calda, è resa ancor più bella dai bottoni in legno e pasta polimerica cuciti insieme, di mia creazione, che chiudono la sciarpa sul petto... :)
Per tesserla mi sono ispirata ad uno scritto di qualche tempo fa, intitolato "La Luce al di là del Bosco"
Per avere informazioni e acquistare la sciarpa insieme allo scritto rilegato a mano, contattami! Creerò un'inserzione apposta per te nel mio negozio Etsy ArJànas... 

- La Luce al di là del Bosco - 

"Dedicato a coloro che amano vagare tra gli alberi cercando la Luce nel folto del Bosco, quella Luce che riscalda nella speranza di poterla vedere per un solo istante. Un piccolo bagliore, una scintilla, un turbinio di emozioni che si accendono nella parte più recondita dell’essere, alla quale la mente non arriva a tendere la mano per spegnere le braci che sibilano ridenti. Gioca, si allontana, fugge quella Luce. Come la maniglia che non riesci ad afferrare, la spalla tanto familiare di una persona che ti precede e che vorresti toccare per scoprire chi è realmente, ma che continua a camminare incurante, in un sogno.
Dedicato a chi si chiede cosa sia quella sensazione di vaga nostalgia e amore per qualcosa a cui non riesce a dar forma, perché non deve averla, che non riesce a descrivere con le parole ma che vive di vita propria e ogni tanto, se lo ritiene opportuno, si lascia intravedere. Un sogno, un segno, un sentore interpretati e sentiti propri oltre ogni schema suggeriscono la sua presenza e la sua voglia di illuminare la via. Non è così per tutti, ma lo è per qualcuno che ancora vuole camminare nel Bosco per osservare i particolari che la propria Natura segreta ha deciso sia opportuno vedere, poiché sono proprio quelli che da Lei vengono messi in Luce.
Così ciascun viandante vede nel Bosco il riflesso del suo mondo interiore, e se sarà il desiderio della Bellezza a regnare, questa guiderà oltre ogni roveto, oltre ogni palude, sazierà lupi famelici, ammonirà cacciatori, placherà streghe malvagie trasformandone l’essenza, mostrando l’universo celato oltre l’immagine che gli occhi vedono.
“Spesso le cose sono esattamente ciò che appaiono”, mi dico.
“Sei sicura di averle osservate bene?” risponde una voce di fata, da oltre le file degli alberi visibili. Già conoscevo la risposta, e le carte si rimescolano per spingermi ad andare oltre, a camminare, camminare, camminare. Ricercare e osservare, assaporare e lasciar andare. Donare, tenere e rilasciare in un unisono di intenti.
Oh, un crocicchio. Vai, prosegui, lancia il bastone per scegliere il sentiero giusto oppure dà retta agli occhi chiusi e agli odori nell’aria che solleticano i sensi, ma segui la tua strada che porterà dove non ti so dire.
È sempre troppo presto per fermarsi a lungo, in questo soffio di vita che scorre."