domenica 30 marzo 2014

Flora - Risveglio di Primavera

Collana Flora tessuta a mano con seta selvatica creazioni ArJànas"Era una notte di Primavera e un fresco venticello spirava tra le vie del paese, portando a spasso un pugno di foglie dimentiche del fatto che l'Autunno fosse trascorso ormai da mesi. Il paese, da secoli disteso ai piedi di un piccolo monte, era un luogo che qualche persona poco accorta potrebbe definire "abbandonato da Dio". Anche lo scorrere tempo, per queste persone, sembrava essersi trasferito altrove. In realtà era un delizioso paese del centro Sardegna: qui le antiche mura di pietra delle case erano intervallate da fonti e ruscelli bordati di muschio ed erbe profumate, e da lisce pietre dove, nei giorni d'estate, ci si poteva crogiolare al sole, con una mano immersa nelle acque che correvano fresche per raggiungere il mare. Il paese, tra gli abitanti succedutisi negli anni, aveva visto nascere e crescere una ragazza ora di sedici anni, di nome Serena. Occorre dire che quella notte il suo nome non la rappresentava minimamente: avrebbe voluto dormire, o almeno così credeva, e serrava gli occhi forzatamente ricercando il sonno che tardava ad arrivare.
La luna, - ah, la luna! - che effetto le faceva! Sembrava sussurrarle che la notte è un universo da scoprire, e quando lei diviene piena e tonda, lucente specchio dell'anima, non la si può sprecare dormendo. Serena era sicura che fosse proprio la luna a stuzzicarla, suggerendole questi pensieri. Il dolce viso immerso nell'oscurità della volta notturna carezzava ogni cosa con la sua luce vellutata e, specialmente nelle notti di primavera, quando la Natura si prepara a cantare la sua antica, perenne canzone, un senso di vitale fermento emana dai suoi raggi per posarsi sulle rare fanciulle adatte a riceverne il tocco. Serena era proprio tra queste.
La voce della luna piena, da qualche anno, riusciva ad avere la meglio sulla sua mente. In quelle particolari notti, dopo essersi rigirata nel letto per un tempo che le pareva interminabile, la ragazza prendeva a camminare su e giù per la stanza come un animale in gabbia, sentendosi pervadere da un'energia cui non riusciva a dare un nome né a descrivere con precisione.
Sapeva solo che in quei momenti avrebbe potuto fare e creare una serie infinita di cose ma, data la sua giovane età, era costretta a rimanere in camera sua, perciò si limitava a immaginare le azioni che avrebbe desiderato compiere. Questo esercizio non le dava affatto sollievo e anzi, spesso generava una sensazione di inadeguatezza e sconforto per la sua condizione. Il mondo che si estendeva al di là di casa sua le sembrava ancor più vasto e meravigliosamente sconosciuto, tutto da esplorare, ma lei non poteva percorrere le sue infinite strade.
Serena trascorreva svariate ore in preda a questa misteriosa irrequietezza finché, esausta, si lasciava andare sul vano della finestra, dischiudendola lievemente insieme alle persiane, invitando così la luna a entrare in camera sua. Compiva ogni gesto con fare furtivo; non voleva che i suoi genitori la sorprendessero ancora sveglia e cominciassero a interrogarla sospettosamente. Lasciare che la luna prendesse posto nel suo cuore era l'unica soluzione possibile, in quei casi. Quindi, dopo aver provato a resisterle per un tempo indefinito, faceva ciò che la sua natura reclamava: si avvolgeva nella spessa coperta di lana e così, cullata dai limpidi raggi lunari, il suo viso un terso riflesso dell'astro d'argento, poco dopo cadeva addormentata.
Anche in quell'occasione lo scenario si presentò pressoché identico; eppure, nel luogo che si trova tra il sonno e la veglia, qualcosa di differente accadde. Il ricordo della sua cara nonna, e della storia da lei narrata infinite volte, sbocciò dolcemente come un tenero e promettente germoglio nella mente di Serena. Il racconto aveva come protagoniste delle fanciulle candide come la luna che in quel momento regnava nel cielo, sovrana indiscussa. Nelle notti di plenilunio le fanciulle danzavano nella radura, leggiadre, strette in cerchio attorno al piccolo lago a loro sacro. La nonna indicava sempre il punto esatto con il suo dito paffuto e rugoso:
- Eccole! Sono proprio là! - diceva alla nipote con voce birichina.
- Ma nonna, io non vedo niente. Sei sicura che lassù ci sia qualcuno?
- Certo che c'è. Le fate stanno danzando, altrimenti non ci sarebbe tanta luce. Se ogni mese guarderai il monte con attenzione, prima o poi le vedrai anche tu. Però bada bene, non dovrai saltarne nemmeno uno! - e lo diceva con un tono così sicuro e serio che Serena non poteva far altro che crederle.
Fin dal terzo compleanno della bimba, mese dopo mese, anno dopo anno, le due si ritrovarono sulla terrazza a scrutare con attenzione il monte che si ergeva davanti casa della nonna. Quest'ultima, dopo aver studiato il panorama, puntualmente prendeva a raccontare alla nipote cosa riusciva a scorgere nel paesaggio rischiarato dai raggi lunari:
- Guarda guarda, oggi le fanciulle sono ancor più belle del solito: indossano delle nuove vesti leggere come l'aria, dello stesso colore del grano maturo ricolmo di vita. Stanotte danzeranno proprio per lui, perché cresca alto e dolce, e per i papaveri che vi spuntano in mezzo. Più saranno rossi meglio sarà per tutti! - annuì, rivolgendo il suo sorriso alla montagna, la mano dell'adorata nipote posata tra le sue. Il canto dei grilli, sottofondo della calda notte estiva, le dava ragione.
Il racconto della nonna seguiva il ciclico evolversi del tempo e delle stagioni, e sebbene qualche volta le storie paressero somigliarsi, c'era sempre una sfumatura speciale che le contraddistingueva dalle altre, un prezioso insegnamento dalla semplicità disarmante. Questo era il dono innato della nonna: rendere unico e magico anche il conosciuto. Poiché sapeva varcare l'immagine fisica delle cose, in sua compagnia la vita non aveva modo di essere banale. Serena le era molto legata e trascorreva molto tempo in sua compagnia, a nutrirsi delle storie che la nonna le raccontava e del suo sapere.
Quando le capitava di sentirsi triste, anche se ciò accadeva di rado, le bastava fare una passeggiata con la nonna per riuscire a esserlo un po' meno. In quelle occasioni la vecchina non le domandava cosa non andasse, o il motivo della sua tristezza. Ella, intuendo la situazione, si dava da fare per mostrare il nuovo nel conosciuto a sua nipote, "perché" diceva, "se ti senti triste non devi indugiare nella tristezza, ma spazzarla via con la felicità. Va bene anche se ne trovi una piccola piccola".
- Vieni con nonna, sa pippia* - esclamò una volta che Serena era giunta da lei in lacrime; allora la bimba aveva da poco compiuto otto anni. Mentre filava seduta sul bordo della fontana, nella piazza del paese, dei ragazzi più grandi presero a farsi beffe di lei chiamandola "Tzia Serena". A quanto pare, secondo loro, stava assumendo le sembianze di una vecchia zia per via dei suoi interessi "antichi" e del troppo tempo trascorso insieme a sua nonna. Le tolsero di mano il fuso con la lana che aveva filato poi, dopo averlo gettato nella fontana, corsero via ridendo e lanciandole addosso dei sassi. Piangere non rientrava nelle abitudini di Serena perciò la nonna, intuendo la gravità dell'accaduto, impugnò con flemma il suo fuso e la conocchia con il lino, condusse la nipote fuori casa, e attraversando un discreto tratto di campagna la guidò su per il bosco. Quando vi giunsero imboccarono un sentiero che non avevano mai percorso insieme, ma che, evidentemente, la nonna conosceva molto bene: si muoveva con agilità tra i cespugli della fitta macchia e pareva sapere con largo anticipo quali rami scostare e dove posare i suoi passi. Alcuni passaggi erano del tutto nascosti alla vista e Serena pensò che sua nonna avesse l'abilità di crearli dal nulla con un tocco o, probabilmente, con la sola forza della volontà.
Camminarono a lungo per vie tortuose, tanto che la bimba ebbe l'impressione di essere stata legata al fuso della nonna, e di girare e girare, sorretta da fili che non potevano essere visti. Si sentiva talmente disorientata da non ricordare più il motivo di quel lungo vagare.
D'un tratto, dopo aver oltrepassato un muro di erica in fiore, uno scenario da levare il respiro si aprì davanti ai loro occhi, e fu il colpo di grazia ai tristi pensieri della bimba. Era una radura perfettamente rotonda, di un verde punteggiato di colori; questi ultimi erano i fiori che, deliziosamente, vi crescevano numerosi. Serena era sicura di non aver mai provato tanta gioia prima di allora: prese a saltellare e a danzare facendo mille piroette, lanciando baci con le mani a ogni fiorellino nato in quel luogo di armonia. Improvvisamente aveva voglia di intonare canzoni che ancora non erano state cantate, di ridere spensierata e avere nel cuore tutta la felicità del mondo. Ricordò il motivo dell'ormai lontana tristezza e rise ancor di più, tanto le sembrava insignificante l'opinione di quelle persone.
La nonnina lentamente si levò le scarpe e, dopo averle sistemate ordinatamente oltre i confini della radura, con uno sguardo suggerì alla nipote di seguirla. Serena, dopo averla imitata e aver a sua volta liberato i piedi dalla stretta delle calzature, non esitò un solo istante. Le due si misero in cammino: procedevano lentamente attraverso un nuovo sentiero, addentrandosi tra le alte querce che cingevano la radura appena lasciata alle loro spalle. D'improvviso l'aria si fece nuovamente silenziosa: soltanto gli uccellini la allietavano con le loro cristalline melodie, e il vento muoveva in una danza le verdi chiome delle querce, accompagnando il loro bel canto.
La gioia spontanea provata poco prima dalla bimba non scomparve, bensì mutò in un sentimento di partecipazione al delicato equilibrio di quel luogo meraviglioso. Di tanto in tanto Serena giungeva le manine sul petto e raccoglieva un po' della Luce silenziosa e traboccante che le illuminava l'animo, spargendola poi come polvere luminosa sul sentiero. Le sembrò che quella stessa scena si ripetesse, immutata, da un tempo che non riusciva a calcolare. C'era stato forse un altro tempo, del quale non conservava memoria, in cui il suo cuore aveva provato la stessa gioia?
Nel frattempo la nonna procedeva dinanzi a lei con passo lento ma sicuro. Non si voltò nemmeno una volta per controllare se la piccola la seguisse, certa che in ogni caso avrebbe trovato il modo di raggiungerla. La lunga gonna ondeggiava ritmicamente scoprendo e poi coprendo i piedi nudi e leggeri.
Serena osservava sua nonna e la vedeva ringiovanire ad ogni nuovo passo. Ora non avrebbe più saputo dire con certezza chi tra le due fosse la più giovane. Nessuno avrebbe potuto farlo. Fu proprio quando questo pensiero si mostrò alla sua coscienza che una musica fresca e vitale nacque oltre le fronde; in principio se ne udiva solo l'eco, che ne conservava immutata l'essenza; poi, a poco a poco, la melodia crebbe d'intensità, avvolgendo ogni cosa. Era la voce dell'acqua che con la sua forza richiamava a sé gli spiriti di quel luogo per offrir loro la sua infinita saggezza.
La nonna, nell'udire il richiamo, sollevò la mano destra che impugnava il fuso e parve raccogliere con un rapido movimento qualcosa che galleggiava nell'aria. Serena, distratta dai furtivi movimenti di una donnola che scompariva tra i cespugli, ebbe modo di intravedere soltanto la scia del gesto impressa nell'aria, quando si era in parte già dissolta, ma ebbe ugualmente un sussulto.
- Cos'è stato? - domandò alla nonna rompendo per la prima volta il silenzio, ma non ricevette alcuna risposta.
La piccola si impose di essere più vigile da quel momento in avanti, ma la scena non si ripeté.
Le due si trovarono ben presto a dover passare accanto ad un alto costone roccioso che si ergeva accanto al bosco. Tra gli alberi e la roccia vi era uno spazio assai limitato per procedere. Le fronde, incontrando la parete, avevano dato vita a un cunicolo dove la luce filtrava a stento. Solo di tanto in tanto una lama sfavillante infliggeva un luminoso colpo all'oscurità, lasciando trasparire la bellezza struggente dell'angolo che liberava dal buio.
- Se al mondo esistono luoghi come questo, mi basterà immaginarli per non essere più triste - pensò Serena, mentre procedeva a testa alta tra il buio e la luce.
Il cunicolo arboreo diede una stretta svolta, dopodiché nonna e nipote ne furono fuori.
A Serena occorsero svariati istanti per far sì che gli occhi si abituassero alla luce, dopo il tempo trascorso nella semioscurità. Quando questo accadde, rimase ancora una volta senza parole per ciò che vide: un fiotto d'acqua sgorgava con forza da un'ampia fenditura della roccia, andando a riversarsi in una polla che emanava caldi vapori. L'acqua limpida e invitante scrosciava tra le candide rocce, che la incastonavano come la preziosa gemma al dito di una dama gentile.
La nonna si voltò verso Serena e le sorrise come mai aveva fatto prima di allora. Serena le restituì il sorriso, lasciandosi cadere sull'erba morbida e rotolandosi come un cucciolo libero e giocoso. Lì distesa aprì le braccia, guardò il cielo, e tutto, tutto le sembrò incredibilmente lontano. Ciò che veramente aveva valore non poteva esserle sottratto; la parte più bella e delicata del suo essere non si poteva colpire con i sassi: solo lei poteva accedervi, e questo la rincuorò, colmandole l'animo di fiducia. Si mise a sedere e istintivamente cercò sua nonna: questa, seduta sulle rocce che racchiudevano la polla, stava filando perfettamente integrata nel paesaggio circostante. Ne faceva parte quanto le api e le farfalle, i fiori dei prati, le querce del bosco e gli animali che lo abitavano. Serena le si avvicinò saltellando e si sedette ai suoi piedi, osservandone attentamente i gesti.
- Tu, bambina mia, non hai ancora capito chi sei né quali armi possiedi, - disse la nonna dopo qualche tempo, continuando a filare. Serena la guardava incuriosita.
- Io non ho armi! - rispose divertita. L'idea di andare in giro armata le sembrava davvero assurda.
- Non tutte le armi servono a fare del male - esclamò la nonna, quasi avesse letto i suoi pensieri.
Serena ci rifletté un po' su.
- E allora, se non servono a fare del male, a che servono? - domandò, incredula, la bimba.
- Ma come, - la incalzò la nonna - le hai usate tante volte e ancora non lo sai? - e rise, riponendo il fuso sulla roccia e sollevandosi in piedi. La bimba provava a seguire il filo di quel discorso, ma più ci provava e più si sentiva confusa. La nonna si mise davanti a lei e, guardandola negli occhi, pose entrambe le mani sulle sue spalle. In quel momento la nonna le sembrò altissima; eppure, in realtà, la donna la superava di poco in altezza.
- Le tue armi sono qui dentro - disse, posando una mano sul petto della piccola - e qui dentro - proseguì, sfiorandole la fronte con un dito. Poi, dopo aver tirato un lungo sospiro, continuò:
- Non sai ancora quali siano né a cosa servano, ma ora che ti ho messo a parte della loro esistenza, piano piano imparerai riconoscerle, quando le userai - diede un pizzicotto sulla guancia della nipote e con una strizzata d'occhio chiuse il discorso.
Serena, sbigottita, avrebbe voluto porre tante domande a sua nonna, ma questa si allontanò velocemente da lei. Dopo aver percorso qualche metro si voltò repentinamente.
- Beh, non vieni? - gridò, sovrastando la voce della cascata. - C'è ancora un'ultima cosa che devi vedere.
Serena la raggiunse e insieme si avviarono oltre una siepe di cisto che distava qualche metro dalla polla. La nonna scostò un ramo scoprendo un passaggio nella roccia e invitò Serena a precederla. Ora si trovavano dietro la cascata, in un luogo che risultava completamente invisibile dall'esterno.
- Vedi, sa pippia? - proseguì, - anche se da fuori non si vede, non si può certo dire che questa bellezza non esista! Anche dentro di te esiste tanta bellezza che non riesci a vedere, perché non hai ancora imparato a riconoscerla: per far questo devi sapere che c'è. Ora, il resto devi farlo tu, vivendola. Vivere la tua bellezza è un'arma che potrà difenderti e permetterti di realizzare grandi cose nella vita.
Serena si sentiva stordita, nessuno le aveva mai detto una cosa simile. Abbracciò sua nonna e calde lacrime di felicità le rigarono il viso. La bambina si sentiva come se dentro di lei fosse stata aperta una fonte prima sconosciuta. Le venne voglia di bagnarsi in quelle segrete acque e di conoscerne tutti i misteri, ma non sapeva da dove cominciare. Si guardava intorno, frastornata.
- Vivi la bellezza che sta fuori e chiedile di mostrarti quella che si nasconde all'interno del tuo cuore. Immergiti in queste acque, ti farà bene e ti aiuterà a capire - così dicendo la nonna sgattaiolò via, lasciando Serena da sola all'interno della piccola cavità rocciosa. Dopo qualche istante trascorso a pensare alle parole della nonna, si tolse tutti i vestiti e cercò di entrare in acqua, facendo attenzione a dove posava i piedi. Una mossa maldestra la fece scivolare con un bel tonfo. Quando riemerse dall'acqua, Serena scoppiò a ridere della sua goffaggine.
- Altro che bellezza, non ne combino mai una giusta. Sono una frana!- poi, riflettendo sulle parole pronunciate poco prima da sua nonna, si rese conto che questo non era ciò che pensava realmente, e si meravigliò subito di averlo capito.
Immersa nelle calde acque della polla, accompagnata dallo scrosciare della cascata, la bimba sentiva che anche la nuova fonte che aveva percepito poco prima stava cantando una canzone. Cercò di seguire quel ritmo con la voce, e di tanto in tanto, mentre cantava, avvertiva dei brividi di emozione.
- Sarà questa la bellezza di cui parla la nonna? - pensò.
Un dolce languore la avvolse guidandola in una profonda quiete.
Quando si ridestò cominciò a sentirsi affamata, e capì che era arrivato il momento di uscire dall'acqua. Provò e riprovò ad arrampicarsi, ma le rocce scivolose non le permisero di far presa e risalire per recuperare gli indumenti. Con uno slancio attraversò il forte getto dell'acqua calda e improvvisamente si ritrovò all'aria aperta, dall'altra parte della polla. Sua nonna aveva un'espressione divertita mentre la osservava.
- Beh, cosa c'è sa pippia?
- Ho lasciato i vestiti là dentro e non so come tornare indietro.
- E che problema c'è? Esci dall'acqua e vai a prenderli.
- Ma mi vergogno di farmi vedere così! - rispose la bambina, pensosa.
La nonna rise di gusto e, andando a recuperare i vestiti della nipote, le diede ancora da pensare.
- Le vedi queste mani? - disse, sollevandole entrambe, - ti hanno aiutata a nascere. Quando sei venuta al mondo non avevi i vestiti addosso, eppure non ti sei vergognata neanche per un momento - e così dicendo posò il suo scialle sul bordo della polla, per permettere alla nipote di coprirsi. Questa lo afferrò e se lo legò intorno al petto, lasciandolo ricadere come un pareo.
- Forse un giorno capirai cos'è veramente il sentimento della vergogna, - proseguì seria la donna, - e anche quando si dovrebbe provare.
Dopo essersi assicurata che la nonna non la stesse guardando, Serena si asciugò frettolosamente il corpo con lo scialle e indossò la sua camiciola di lino; era l'abito preferiva, per via della sua leggerezza. La camiciola era sottile, e quando Serena si muoveva questa svolazzava ovunque, facendola sentire eterea come una delle fanciulle fatate che popolavano le storie narrate dalla nonna; ma ora, mentre la indossava, la sentiva stranamente pesante. Le parole udite poco prima, sottilmente ricamate dalla nonna nell'animo della bimba, si erano insinuate anche nelle fibre di lino? Di sicuro qualcosa era profondamente mutato. Le sembrò che se non avesse avuto quell'abito, un tempo quasi impalpabile, avrebbe potuto librarsi nell'aria. Rimase a lungo immobile, lo sguardo affidato al fluire delle acque della cascata.
Quando fu tempo di andare la nonna si avvicinò a lei, le porse la mano chiusa e, dopo aver preso dolcemente la sua, vi lasciò scivolare il contenuto: era una collana che lei stessa aveva tessuto per la nipote, dalle sembianze di una piccola donna.
- Questa è tua, sa pippia. Si chiama Flora, perché è nata in Primavera. Prenditi cura di lei come di te stessa - disse, scandendo ogni parola. Legò il gioiello al collo della bimba che, estasiata, ammirava la donnina rigirandola tra le dita.
- Com'è bella! È talmente piccola! - esclamò.
- Vorrà dire che crescerete insieme.
Serena era davvero felice del regalo di sua nonna, quella giornata era stata un crescendo di emozioni. Non aveva ben compreso alcune delle cose avvenute, ma non se ne preoccupò perché pensò che probabilmente le avrebbe fatte sue in un altro momento; in realtà già le appartenevano, ma questo fu proprio il tempo a rivelarglielo.
Nel frattempo la nonna, china su una roccia, stava ripiegando con cura lo scialle che poco prima aveva offerto alla nipote per coprirsi. Era ancora umido e conservava in sé tracce del sentimendo di vergogna lavato via dal corpo della bimba, insieme ad altri pesi che gravavano sul suo animo. L'anziana donna lo richiuse stretto in un involto, quasi volesse evitare che qualcosa potesse liberarsi dalla sua presa. Immerse ripetutamente lo scialle nell'acqua, lo batté e lo strizzò con forza pronunciando delle parole a bassa voce.
Serena, rapita dalla bellezza del dono appena ricevuto, non si accorse di ciò che stava accadendo alle sue spalle.
- Grazie nonnina! - trillò - Non so come farei senza di te - e corse ad abbracciarla ancora e ancora, come se improvvisamente si fosse ridestata da un incantesimo.
- In qualche modo ce la farai. Se continuerai a cantare, a cercare le piccole felicità e a guardare la luna, tutto diverrà semplice.
E così, strette strette, le due ripercorsero la strada che le aveva condotte fino a quel luogo incantato.
Nella vita ogni cosa, bella o brutta che sia, ha una fine reale o apparente. Qualche tempo dopo, infatti, la cara nonnina venne a mancare e Serena ne fu distrutta.
Nonostante le raccomandazioni della nonna, la bimba non voleva più saperne di guardare la luna o di cantare: figuriamoci, poi, se le andava di cercare le felicità. Cancellò tutti i ricordi legati a sua nonna: uno dopo l'altro li rinchiuse in un angolo del cuore per non soffrire più per la sua mancanza. La collana fu riposta lontano dalla vista e dimenticata in breve tempo.
Ma la luna non si lasciò dimenticare: continuò a picchiettare sulle sue palpebre chiuse, spronandola a farsi guardare. Proprio in quella notte di Primavera compì la sua magia, e Serena ricordò ogni cosa: tutto ciò che aveva accuratamente dimenticato la travolse come l'acqua della cascata.
La ragazza aprì l'armadio e scoperchiò la scatolina in cui, negli anni, aveva riposto i suoi pochi beni preziosi: qui trovò la collana. Dopo averla baciata, se la mise al collo, poi si guardò intorno e ascoltò attentamente. Il silenzio della notte le rivelò che i suoi genitori dormivano profondamente.
Afferrò la coperta di lana, si calò dalla finestra e si infagottò per bene.
A passo sicuro e svelto si diresse verso la montagna. Ora ricordava che, da qualche parte, le fate stavano danzando per far rinascere la Primavera, e lei non voleva più stare solo a guardare."

*Sa pippia: bimba.

La storia che avete appena letto è dedicata a "Flora", una collana ispirata alla Primavera e alla sua dolce poesia...
La minuta tessitura in seta ahimsa filata a mano e il cristallo naturale danno forma al corpo della piccola donna fatata.
Verrà impreziosita da una pietra dura a vostra scelta tra:
Chrysotine;
Avventurina;
Malachite;
Granato;
Diaspro Picasso.


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Al prossimo intreccio! :)

lunedì 10 marzo 2014

I fiori del mare

Il racconto che leggerete tra poco accompagna il premio che ho uncinettato in occasione del concorso creativo "I fiori del mare e la magia dell'acqua: fai scorrere la tua creatività!", che si è svolto a dicembre sulla pagina Facebook ArJànas.
Il nome che ho scelto per la sciarpa è "I fiori del mare" proprio perché per crearla mi sono ispirata al mare della Sardegna e alle acque della mia meravigliosa terra. È stata realizzata a mano all'uncinetto in morbida lana merino 100%, impreziosita da una piccola donna danzante "ArJànas" e da una campanella dorata.
Giveaway della sciarpa "I Fiori del mare" Laboratorio ArJànas

Ora vi lascio al racconto, spero possa emozionarvi!

"In una strana serata di fine autunno, il blu del cielo che si lasciava intravedere appena tra i lembi dischiusi di una lacera coltre di nubi, il vento incessante che sospingeva ogni cosa in direzione del suo destino, una ragazza vagava in lungo e in largo per la spiaggia deserta. Pareva cercare qualcosa tra la sabbia e le onde spumose; lo sguardo cristallino vagava senza posa, tanta era la meraviglia che provava ogni volta che si trovava dinanzi al mare.
Quel giorno la sabbia era particolarmente umida e fredda, anche nei punti della spiaggia più lontani dall'acqua; la ragazza la percepiva insinuarsi tra le dita dei piedi che attentamente carpivano i segreti racchiusi all'interno di ogni suo granello.
Brigida voleva sentirla, la sabbia, anche se al momento di indossare di nuovo le scarpe, di ritorno a casa, probabilmente non sarebbe riuscita a scacciarla dai piedi. Soprattutto per quest'ultimo motivo amava camminare scalza anche in inverno, perché – pensava – così facendo avrebbe conservato un po' di mare dentro le scarpe e gli avrebbe dato modo di guidare i suoi passi. Sentire la sabbia le permetteva di non andare troppo lontano senza pensare ai bellissimi momenti vissuti insieme; grattando contro le piante dei suoi piedi l'essenza dell'acqua reclamava tutte quelle attenzioni che le spettavano di diritto.
– Preferisco avere la sabbia dentro le scarpe, invece che futili pensieri per la testa, – sostenne con aria solenne una volta, quando la proprietaria della bottega presso cui era solita servirsi sua madre le fece notare che ne stava spargendo una gran quantità sui pavimenti altrui. La donna rimase sbigottita: non immaginava che una risposta tanto pungente potesse arrivare dalla bocca di una ragazza a malapena dodicenne.
Gli anni trascorsero e il suo temperamento non mutò eccessivamente; solo di tanto in tanto, quando le capitava di sentirsi malinconica, triste o arrabbiata, invece di scagliare le sue emozioni come un'onda addosso a chi la provocava, Brigida si avvolgeva in un velo che la proteggeva, permettendo al suo mondo interiore di sanare le ferite inflitte da persone e fatti che appartenevano all'altro mondo, quello che si estendeva intorno a lei. Allora arrivava al mare, aspirava profondamente il respiro delle onde e ne ascoltava la voce, e in questi pochi preziosi gesti trovava tutto il conforto di cui aveva bisogno.
Brigida, intanto, aveva trovato ciò che cercava: un cantuccio che poteva offrirle riparo dal vento di maestrale, scavato negli alti banchi di posidonia che la forza delle maree aveva condotto a riva. Euforica, si arrampicò sulla parete in cui si trovava questo nido speciale, e vi si rintanò alla svelta, traendo a sé le ginocchia in un gridolino di piacere per la sensazione di calore offerta da quel rifugio improvvisato. Sembrava fatto apposta per ospitarla: era come se qualcuno, senza farsi accorgere, avesse misurato il suo corpo per offrirle con cura questo dono inaspettato.
Un forte odore salmastro emanava dagli strati di foglie che la circondavano; eppure, a differenza di tante persone che disprezzavano tale pianta marina, come se la sua presenza sulla spiaggia denotasse sporcizia, Brigida sapeva bene che in realtà tra le sue foglie veniva custodita la vita. Quando qualcuno dimostrava avversione nei confronti della posidonia adagiata sulla battigia sentiva montare la rabbia dentro di sé. Certe volte le sembrava di avere qualcosa che non andasse, come se i sensi le giocassero degli scherzi.
– Com'è possibile che ciò che per alcuni puzza, per me abbia un odore tanto caro e familiare? – si poneva spesso domande simili, ma non riusciva proprio a trovare una risposta, tanto le sembravano assurde certe questioni.
Mentre rifletteva sul quesito con un'espressione grave dipinta sul volto, uno spruzzo d'acqua salata arrivò a distoglierla dai suoi pensieri, come una risposta saggia e schietta. La ragazza sorrise, godendosi quella sensazione di inattesa freschezza, di leggerezza.
Sentì, in lontananza, uno scampanellio. Lieve ma deciso, pareva venire nella sua direzione.
– Cosa sarà questo suono? – domandò in un sussurro, la curiosità che le accendeva gli occhi grandi e limpidi, e le guance. Abbassò dolcemente le palpebre, provando a immaginare cosa potesse essere quel suono misterioso; la sua fantasia si librò alta nel cielo screziato di ricordi e di vita.
Chiuse gli occhi per assaporare più a fondo quel momento e in un attimo si sentì trasportare altrove, lontano, lontano; al contempo, inspiegabilmente, il suono del campanello si fece sempre più vicino. Mentre Brigida si allontanava, vagando in una dimensione simile al sogno, ma ben più dolce e definita, provava la sensazione sempre più netta di avvicinarsi a una realtà differente, eppure non per questo meno reale di quella in cui aveva vissuto fino ad allora.
Senza che il suo corpo ne avesse il vago sentore, la posidonia sulla quale era posato delicatamente si schiuse per permettergli di passare. La discesa avvenne a un ritmo lento e impercettibile; ogni volta che il campanello suonava, le foglie parevano rispondergli scostandosi una dopo l'altra, dando vita a un'armoniosa danza di discesa.
Anche se in quel momento la ragazza non era cosciente di tutto ciò, nella sua mente e nel cuore vivevano ancora i pensieri luminosi che ella aveva sempre rivolto al mare e ai suoi abitanti; ora questi si muovevano verso l'esterno raggiungendo la pelle sfiorata dalle gentili foglioline, esortandole ad aver cura di lei.
Brigida si risvegliò senza un sussulto e, ancor prima di aprire gli occhi, istintivamente sorrise, quasi intuisse la meraviglia cui sarebbe stata testimone di lì a poco. E fu davvero immenso lo stupore quando, dopo il primo sguardo dato al luogo in cui si trovava, fu certa di non stare sognando: tutt'intorno a lei era un danzare di luce che ovunque si infrangeva e rimandava bagliori di mille vividi colori. Ai suoi piedi, posati sulla sabbia bianchissima, si estendeva uno specchio d'acqua che pareva risplendere di per se stesso, tanto che Brigida si voltò in tutte le direzioni per capire se, in qualche luogo, si trovasse un passaggio che permettesse alla luce di raggiungere quell'angolo d'incanto.
Non trovò alcuna fessura nelle lisce pareti di candida roccia ma, sollevando lo sguardo, le fu chiaro il modo in cui era arrivata nella grotta: in cima alla volta si trovava un'apertura che di tanto in tanto si lasciava sfuggire qualcosa che a Brigida risultava molto familiare: qualche foglia di posidonia calava dall'alto volteggiando come una bruna piuma d'uccello. La ragazza si rese ben presto conto di esserne ricoperta, e capì di essere giunta nella grotta attraverso quello scuro passaggio dopo aver chiuso gli occhi, al suono del campanello.
– Il campanello! – esclamò – Il suo tintinnio sembra essersi dissolto nel nulla. Sarà stato forse lui a condurmi qui? – Le sue parole non ebbero quasi il tempo di prendere forma nell'aria circostante, che già la ragazza sorrideva di se stessa per essersi posta quell'interrogativo del tutto superfluo. Per lei, in quel momento, la cosa importante era trovarsi là dentro; al come vi fosse approdata avrebbe pensato successivamente.
Non mi interessa sapere come sono giunta fin qui, – pensò – e sorridendo si sollevò sulle gambe, dirigendosi verso lo specchio d'acqua. Quando fu abbastanza vicina posò la punta del piede sulla superficie cristallina, quasi volesse saggiarne la consistenza, tanto pareva ferma e compatta allo sguardo. Quando il piede andò a fondo sentì la gioia crescerle dentro il petto, tanto era bella e semplice la sensazione che stava provando: nonostante l'acqua fosse limpida e talmente immobile da sembrare cristallo, era piacevolmente calda al tocco.
Brigida si liberò frettolosamente dei pesanti abiti invernali per concedersi un bagno in quelle acque misteriose. Quando vi si immerse ogni quesito residuo abbandonò la sua mente.
Stette immobile per un tempo indefinito, le palpebre socchiuse e le braccia aperte, ad accogliere quella realtà che l'aveva accolta senza porle alcuna domanda. Quando li riaprì la sua attenzione venne catturata dai piccoli segni incisi sulle pareti della grotta, perfino sul soffitto. Nuotò lentamente fino a raggiungere una delle pareti in parte sommerse, e la sfiorò con la mano: era calda e morbida, somigliava a un ventre materno. Le incisioni raffiguravano minuscoli fiori, tanto vicini tra loro da sovrapporsi, in certi punti; non vi era un solo angolo della grotta che non ne fosse ricoperto, ed erano tutti differenti. Brigida li percorreva con la punta delle dita, a ritroso, dall'esterno della corolla fino al loro centro, come se si trattasse di piccole spirali. Pensò che la mano che li aveva incisi dovesse essere mossa da una meravigliosa e fervida fantasia, tanto erano belli.
– I fiori del mare! – sussurrò, – Siete proprio voi!
Allora uno scenario meraviglioso si aprì davanti ai suoi occhi: uno dei fiori incisi si staccò dalla parete e scivolò sotto la superficie dell'acqua per poi tornare a galla con le sembianze di un'oliva. Brigida lo riconobbe subito ed ebbe un sussulto: era un seme di posidonia.
Le mani della ragazza, come una coppa, circondarono il seme per sorreggerlo; osservandolo da vicino Brigida notò una piccola crepa che ne percorreva la superficie mostrando timidamente l'interno. Il seme germogliò e crebbe tra le mani della ragazza a una velocità sorprendente, divenendo una piantina verde e rigogliosa che si allungava sempre più; quando fu abbastanza grande un piccolo fiore si schiuse tra le sue foglie. Le mani si aprirono lasciando andare la pianticella, che si posò sul fondo dove prosperò felice e serena.
Brigida, commossa, non capiva cosa avesse fatto per meritare un simile dono. Si tuffò, e in un istante capì di essere parte del dono stesso, perché da sempre ne aveva percepito l'importanza. Nuotò nelle calde acque della grotta incantata per chissà quanto tempo, giacché non si preoccupò di calcolarlo, ma solo di godere appieno di quel dono finché fosse durato.
Aprì gli occhi. Il vento di maestrale sfiorandole incessantemente il viso le diede il benvenuto in una nuova realtà. La sua mente le suggerì che tutto ciò che aveva vissuto era stato solo un sogno, ma il suo cuore rispose che, in fondo, questo particolare era privo di importanza.
Brigida rivolse un saluto silenzioso al mare e si allontanò per far ritorno a casa; nonostante ciò, dal giorno in cui entrò nella grotta in molti sostennero di non averla incontrata mai più."

mercoledì 5 marzo 2014

Orizzonti: una sciarpa tra il cielo e il mare

Creazione ArJànas sciarpa grigia e verde "Orizzonti""Sai, dall'incontro tra il sole e il mare, al tramonto, qualche rara volta nasce un bel fiore che non appartiene al mare, alla spiaggia o al cielo, né tantomeno al sole. Sboccia nel cuore di chi è così fortunato da riuscire a scorgerlo, a coglierlo al momento opportuno; e nel cuore rimarrà, finché il calore del ricordo che l'ha visto nascere sarà vivo. Il fiore terrà compagnia al cuore nelle ore più buie e schiudendo leggermente i suoi petali insinuerà, tra un battito e l'altro, un lieve raggio di sole, un granello di sabbia, una goccia d'acqua. Per farsi ascoltare incurverà leggermente la sua corolla, protenderà i petali colorati, con il loro tocco solleticherà dolcemente il cuore. Un giorno potrebbe capitare che questo bel fiore, non udito, appassisca, ma senza sparire mai del tutto. Una polverina impalpabile, testimonianza della sua esistenza, svolazzerà ovunque impregnando di sé ogni tessuto; si infiltrerà pure nel cuore per scuoterlo ancora un'ultima volta.
- Non dimenticarmi! - dirà senza parole, mutando nella forma, ma non nell'essenza. La bellezza vissuta non svanisce mai nel nulla, anche se non se non si ha la premura di conservarne intatto il ricordo. Oltre l'orizzonte ci sarà sempre nuova bellezza pronta a richiamare i nomi di ogni bellezza conosciuta e dimenticata.."

particolare del finale della sciarpa "Orizzonti" del laboratorio ArJànas
Da questa immagine è nata "Orizzonti", una meravigliosa sciarpa tessuta e rifinita a mano, arricchita da una piccola donna danzante ArJànas tessuta e da un fiore realizzato all'uncinetto, impreziosito da un bottone opalescente. È stata tessuta insieme alla sua storia che arriverà a casa tua insieme alla sciarpa, stampata su carta FSC (Fonti gestite in maniera responsabile), racchiusa in un piccolo libro rilegato a mano.
Spero vi piaccia!
Potete trovarla nel mio negozio Etsy cliccando qui: Orizzonti








Al prossimo intreccio! :)